Un simbolo riscoperto del ’68: tra innovazione e rivoluzione con l’isola delle rose

L’ingegno e l’intraprendenza di un giovane ingegnere, cresciuto nella mondana riviera romagnola dei brulicanti anni ’60, portarono alla
realizzazione concreta di un sogno, tra i tanti che alimentavano gli animi dei sessantottini con i loro mondi utopici.
E per celebrare… questa impossibile? Questa rivoluzionaria? La si potrebbe intendere in moltissimi modi, ma sicuramente epica impresa, un
giovane regista italiano, Sidney Sibillia ha raccontato per noi la storia, se pur in una versione riadattata, per renderla più fruibile al grande pubblico
(film distribuito pochi giorni fa su Netflix).
“L’incredibile storia dell’isola delle rose” narra di Giorgio Rosa, un ragazzo anti-convenzionale in alcuni aspetti, che voleva costruire a largo
dell’Adriatico, poco fuori da Rimini, un’isola indipendente, che sarebbe diventata Stato indipendente. Tuttavia, questa piattaforma artificiale che si
innalzava imponente agli occhi di chi vi stava arrivando da lontano, era vista in molteplici modi dai veri Stati di tutto il globo e destava le maggiori
preoccupazioni di natura commerciale e di sicurezza nazionale.
La struttura consisteva in dei robustissimi piloni d’acciaio ben consolidati nel fondale marino e che fungevano da tubi telescopici, il cui progetto,
l’ingegnere brevettò; vennero installati in più episodi, in più avventure che avvenivano pur sempre fuori i 700 metri da Rimini e quindi in un atto
svincolato dalla sovranità dello Stato e che nel film non può che entusiasmare e far sorridere, con una tale intraprendenza e voglia di innovare, di cui Giorgio Rosa si nutriva; su questi piloni si ergeva il resto delle fondamenta, di quel che poteva sembrare una mera baracca ma che in realtà ospitò ben presto turisti, giovani e curiosi da tutto il mondo per tenere grandi feste con la nuova musica e spirito dei ’60, in un Adriatico colmo di barche, di scii nautico e ben presto anche delle barche della capitaniera di porto. Ebbene sì, nonostante l'”isola” avesse riscosso un progressivo successo in tutto il globo, in particolare per i tedeschi, ed avesse rappresentato inizialmente un luogo misterioso, tra le più varie ipotesi di albergo, di base per l’operato di potenze straniere (tra cui i comunisti) o ancora come night (visto il periodo dei primi locali notturni in Italia, ma in cui c’erano lo spettacolo e la scenografia al centro dell’attenzione e non altro), la capitaneria ed il resto delle istituzioni guardavano ancora questa “isola d’acciaio” con ambiguità, oltre al fatto che ostacolava la libera navigazione in mare.
Il genio di Giorgio Rosa oggi può rappresentare un modello, quasi un eroe, una naturale fonte d’ispirazione per la stimolazione delle idee più
stravaganti ma innovative, malgrado l’interpretazione dello Stato italiano all’epoca, nei confronti di questa bizzarra piattaforma, non fu delle più
flessibili.


Il ’68 ed in particolare Paolo Pombeni, ci ricordano, in un’intervista rilasciata alla “Repubblica” nel 2018, che nel movimento stesso del ‘68 se pur in forma ridotta, non mancava un certo carattere fatto di rigore e consapevolezza tra le file dei sessantottini, che nel caso della costruzione
dell’isola/piattaforma consentisse a indirizzare un’innovazione, se pur fatta con azioni rivoluzionarie e del tutto indipendentiste, verso una maggior
razionalizzazione o quantomeno accurata negoziazione con le istituzioni: ma chissà se avrebbe poi mantenuto comunque quel suo fascino ed
avrebbe allo stesso modo fatto notizia tra i giovani ed i curiosi degli anni ’60 di tutto il mondo: esso fu fenomeno percepito davvero come la nascita
di una micronazione indipendente, adottò anche l’Esperanto come lingua ufficiale e vedeva la costituzione di un governo, nonchè di tanti negozi per
agevolare la vita dei residenti, proprio come in una città, proprio come in uno Stato.
In ogni caso, come ha affermato il simpatico ingegner Rosa, “un po’ pazzo lo sono sempre stato, altrimenti non avrei fatto l’isola!”

Autore: Francesco Carleo

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