Operativo il nuovo software di riconoscimento facciale della Polizia di Stato

Operativo il nuovo software di riconoscimento facciale della Polizia di Stato

Si chiama Sari ed è il nuovo alleato della Polizia di Stato nella repressione dei reati. Acronimo di Sistema Automatico di Riconoscimento delle Immagini, il Sari è stato svelato il 7 settembre scorso con una conferenza stampa, praticamente in contemporanea con il primo successo di questo prodigio informatico, l’identificazione e l’arresto di due ladri nel bresciano. Proprio questo fatto ha lasciato presupporre che il sistema fosse in uso già da molto tempo.

Con soli due algoritmi e una banca dati pressoché immensa dalla quale attingere, Sari è in grado di incrociare un fotogramma ripreso da una qualunque videocamera di sorveglianza con i volti di milioni di soggetti schedati, riuscendo in breve tempo a risalire all’identità del malvivente di turno. Contrastanti i dati riguardanti il numero di volti schedati.

Nove milioni, dei quali due milioni di italiani e sette milioni di stranieri,
o ancora dieci, o sedici milioni di persone. La conferenza stampa di presentazione non è servita a dipanare la matassa. Il verbale di collaudo indica che i tecnici che hanno effettuato il collaudo del sistema, hanno provveduto anche a verificare l’allineamento tra Afis (Automated Fingerprint Identification System, sistema per il riconoscimento delle impronte digitali) e il software di riconoscimento facciale, fornendo una base dati composta da circa 16 milioni di record e 10 milioni di immagini per quanto riguarda i volti. Ma come si finisce nel database di Sari?

Le fonti sono molteplici: si parte dall’Eurodac, il sistema dattiloscopico europeo, una sorta di database delle impronte digitali di coloro che richiedono asilo politico e di coloro che sono entrati irregolarmente nel territorio dell’Unione Europea, ancora, dai passaporti o anche dalle foto scattate dalle forze dell’ordine durante le manifestazioni. Sari, come buona parte delle tecnologie similari, sono basate sul cosiddetto Machine Learning, cioè sulla capacità di una macchina di riuscire a individuare ricorrenze statistiche da un set di dati. Di base l’idea non sarebbe sbagliata, se non fosse che in più
occasioni questo sistema ha mostrato difficoltà nel riconoscere persone con varie colorazioni di pelle.

Episodi simili hanno coinvolto anche le auto a guida autonoma, che hanno avuto difficoltà a identificare pedoni dalla pelle scura.

La causa va ricercata nelle immagini usate nella fase di addestramento.

Se la macchina viene “addestrata” prevalentemente con volti di maschi bianchi, l’algoritmo commetterà inevitabilmente degli errori, quando sarà chiamato a riconoscere volti di persone con diverso colore della pelle. Ovviamente, c’è da sottolineare, che non ci si basa esclusivamente sul responso dato dalla macchina, ma ogni singola attività viene supportata dal
personale della Polizia di Stato, proprio per evitare che possano verificarsi errori e quindi scambi di persona. Ancora una volta il fattore umano risulta determinante.

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