Nobel per la Fisica 2019, tra cosmologia ed esopianeti.

Niklas Elmehed © Nobel Media

La Kungl. Vetenskapsakademien, ovvero la Royal Swedish Academy of Sciences, ha conferito il “Premio Nobel per la Fisica” 2019 a James Peebles, Michel Mayor e Didier Queloz, per “il contributo alla nostra comprensione dell’evoluzione dell’Universo e del posto che la Terra occupa nel cosmo”. 

COSMOLOGIA FISICA

Il canadese James Peebles, ormai statunitense a tutti gli effetti, professore emerito della Princeton University, è riuscito a spostare la cosmologia dalla pura teoresi a qualcosa di misurabile, tanto da poter parlare di cosmologia fisica. La cosmologia studia le origini, l’evoluzione e la conformazione dell’universo, e per farlo utilizza strumenti affascinanti, come la teoria della relatività

Cosmic Microwave Background Radiation

Il nodo fondamentale è lo studio della Cosmic Microwave Background Radiation (CMBR). Partiamo dal presupposto che, ovviamente, non possiamo sapere cosa scatenò l’arcinoto Big Bang. L’ipotesi sugli istanti immediatamente successivi riguarda una sorta di crogiuolo di particelle, tenute insieme da temperature elevatissime, quello che gli anglosassoni chiamano “primordial soup”. Dopo circa 400.000 anni, a causa di un progressivo raffreddamento, i fotoni, i quali sono null’altro che particelle, riuscirono a fuggire dalla zuppa primordiale, creando il primo raggio di luce dell’universo. Ebbene, questo raggio è ancora in qualche modo presente e può essere rilevato, essendo una radiazione (non visibile), con una lunghezza d’onda di qualche millimetro e una frequenza nella fascia delle microonde.

Il premio Nobel 2019 Peebles, “for theoretical discoveries in physical cosmology”.

Il professor Peebles aveva predetto tutto a livello analitico. In seguito, questa radiazione fu effettivamente captata, anche se per puro caso. Peebles comprese che la temperatura della CMBR poteva fornirci informazioni sul processo di rilascio dei fotoni e delle altre particelle post Big Bang e quindi sulla nascita dell’universo: la cosmologia non era più qualcosa di puramente teorico, essa poteva avvalersi di dati da studiare e grandezze da misurare. 

Il Big Bang e la CMBR © Nobel Media

Secondo la “Teoria della Relatività Generale” di Albert Einstein, la geometria dell’universo ha a che fare con la gravità. Lasciamo perdere la definizione di gravità e badiamo a come è fatto il nostro universo. È un pallone da calcio? È a forma di ciambella? Sempre secondo Einstein, più massa (e quindi energia) esiste nell’Universo, più esso tende a curvarsi. Tuttavia esiste un valore critico di massa ed energia per il quale l’Universo può essere considerato piatto. Cosa vuol dire piatto? Beh, mettiamola così: la famosa definizione di rette parallele, regge.

Universo piatto

Le misurazioni di temperatura della CMBR, della quali parlava Peebles, ci hanno fornito un asserto straordinario: dato che la CMBR ha assunto una certa temperatura nel corso del tempo, allora l’universo non può che essere piatto. Ci aspettiamo, dunque, una massa totale presente nell’Universo, tale che si raggiunga quel famoso valore critico previsto dalla relatività. Purtroppo i conti non tornano: manca massa. La materia barionica (cioè quella “ordinaria” che emette radiazioni e quindi è individuabile) è pari solamente al 5% del computo totale che ci aspetteremmo. C’è poi un buon 26% costituito dalla cosiddetta “materia oscura” (la quale non emette radiazioni ergo è rilevabile solamente per gli effetti gravitazionali). Essa impedisce, calcoli alla mano, alle galassie di implodere. Siamo al 31%, manca circa il 69% di materia (cioè di massa) utile a raggiungere quel valore critico, il quale, ripetiamo, è stato sperimentalmente verificato: questo 69% deve per forza esistere.

Energia oscura

Peebles introdusse allora  il concetto di “energia oscura”, ovvero l’energia dello spazio vuoto. Con essa i conti tornano. Ricordatevi che secondo Einstein massa ed energia sono due facce della stessa medaglia. Lo spazio possiede una energia intrinseca, determinata dalle fluttuazioni del vuoto. Occhio, queste fluttuazioni sono rilevabili, non stiamo parlando di ipotesi. La famosa “costante cosmologica” di Einstein (il suo “più grande errore”), seppure con una interpretazione differente, a questo punto poteva essere considerata nuovamente nelle equazioni, assumendo il significato di “energia del vuoto”. La professoressa Suzanne Staggs di Princeton ha ben sintetizzato il lavoro di Jim Peebles:”[…]ha sempre avuto l’equivalente della vista di un satellite, ma su tutto l’universo”.

LA RICERCA DEGLI ESOPIANETI

Michel Mayor e Didier Queloz, professori dell’Università di Ginevra, hanno scoperto il primo pianeta orbitante intorno a una stella simile al Sole (stelle di sequenza principale anche note come “stelle nane”). Si tratta di 51 Pegasi b, 50 anni luce dalla terra, un gemello del nostro Giove ma distante solamente 8 milioni di chilometri dalla sua stella.  Fughiamo ogni dubbio: esopianeta significa semplicemente “pianeta che non appartiene al sistema solare”. Ecco, come possiamo trovare esopianeti dato che non emanano luce propria? Il lavoro di Mayor e Queloz risponde proprio a questo quesito.

Mayor e Queloz, Nobel 2019 “for the discovery of an exoplanet orbiting a solar-type star” 

Pianeti ed effetto Doppler

I due studiosi partirono da un concetto non banale: così come un pianeta si muove intorno a una stella, anche la stella si muove, seppure in maniera minima, influenzata dal pianeta che le orbita intorno. Questo movimento può essere misurato, ottenendo una grandezza fisica nota come “velocità radiale”, cioè la velocità di variazione della distanza stella-pianeta. Come si misura la velocità radiale?

Prendiamo un’onda (una radiazione che si propaga) e la sua sorgente. Se questa sorgente si muove, il generico osservatore percepisce l’onda in maniera distorta (ovvero variabile rispetto al valore reale): si tratta del famoso effetto Doppler. Pensate a una ambulanza che sfreccia mentre siete sul divano di casa: l’onda sonora prodotta dalla sirena varia mentre essa si avvicina a voi e poi varia ancora quando si allontana. La luce della stella si comporta allo stesso modo. Grazie all’effetto Doppler possiamo studiare la velocità radiale, attraverso la quale possiamo avere la certezza che intorno alla stella orbita un pianeta, essendo il pianeta la causa stessa dell’effetto rilevato.

Il metodo della “velocità radiale” © Nobel Media

Attraverso il metodo appena descritto, è possibile determinare la massa del pianeta. Per determinare le dimensioni si usa, invece, il metodo della “fotometria di transito”: quando un pianeta si interpone tra la stella e i nostri telescopi, l’intensità luminosa decresce e in proporzione a essa possiamo determinare la grandezza del pianeta. Esistono anche altri metodi per scovare pianeti, ma esulano dai lavori dei due nuovi premi Nobel. 

Grazie a Mayor e Queloz abbiamo scoperto migliaia e migliaia di esopianeti. Il più lontano dista la bellezza di 27.000 anni luce: urge wormhole per eventuale vacanza. 

Exit mobile version