Caviglia “stampata” in 3D: intervento record a Bologna

Un equipe dell’Ospedale Rizzoli di Bologna è riuscita per la prima volta ad impiantare una protesi di caviglia “stampata” in 3D.

Un importante passo avanti verso la medicina del futuro. Un equipe di chirurghi dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna è riuscita ad impiantare con successo una protesi di caviglia “stampata” in 3D. E’ la prima volta in cui una protesi fabbricata interamente mediante questa tecnologia viene impiantato con successo in un paziente con traumi alla caviglia. L’operazione è stata effettuata il 9 ottobre su un uomo di 57 anni che aveva perso l’uso del piede a causa dei traumi riportati in un incidente in moto nel 2007. Grazie alla caviglia impiantata dai chirurghi del Rizzoli, l’uomo potrà sottoporsi a terapie riabilitative e, nell’arco di un anno, tornare a camminare normalmente. Non è la prima volta che la stampa 3D “entra” in sala operatoria. Sempre ad Ottobre, i chirurghi dell’Ospedale Meyer di Firenze hanno utilizzato una stampante 3D per fabbricare una protesi d’orecchio che è stata poi impiantata con successo su un paziente di appena 13 anni.  Il vantaggio di questa tecnologia è la possibilità di ottenere protesi “su misura”, calibrate sull’anatomia e le specifiche esigenze cliniche dei singoli pazienti.

Caviglia stampata in 3D: intervento “storico” a Bologna

L’equipe che ha eseguito la pionieristica operazione è stata guidata dal professor Cesare Faldini, direttore della Clinica Ortopedica 1 di Bologna. Al termine dell’intervento, il professore ha spiegato che la procedura adottata “è stata creata per i pazienti che non possono ricevere protesi tradizionali e che quindi rischiano di non tornare a camminare“. Al di là dei benefici per il paziente di Bologna, l’intervento di Bologna rappresenta un importante passo avanti verso il futuro della medicina chirurgica. Le applicazioni della stampa 3D nel campo medico sono infatti potenzialmente infinite. Utilizzando questa tecnologia si possono correggere malformazioni, rimuovere alterazioni congenite e produrre protesi personalizzate, il tutto riducendo al minimo il rischio di errori o esiti indesiderati. “La tecnica e la tecnologia che abbiamo applicato – ha concluso il professor Faldini – rappresentano il futuro della chirurgia: i modelli 3D consentono di pianificare l’intervento chirurgico e di adattare, con una precisione che era impensabile con le tecniche 2D, il modello ricostruttivo al singolo paziente”.

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