Una “super-colla” di fotoni per le particelle con cariche negative

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Un team di ricerca internazionale ha scoperto che i fotoni possono compensare la repulsione elettrostatica tra particelle con cariche negative.

I fotoni (le particelle che compongono le luce) possono essere usati per tenere insieme le particelle con cariche negative. E’ questa la scoperta effettuata da un team di ricerca internazionale. Allo studio hanno partecipato l’Istituto officina dei materiali (Cnr-Iom) di Trieste, l’Istituto nazionale di ottica (Cnr-Ino) di Trento e l’Istituto di fotonica e nanotecnologie (Cnr-Ifn). A capo del progetto ci sono due giovani scienziati italiani. Giorgio Biasol ha guidato il gruppo che si è occupato della crescita delle strutture a pozzo quantico con la tecnica MBE (Molecular Beam Epitaxy) mentre Iacopo Carusotto si è occupato della progettazione dell’esperimento. I risultati sono stati pubblicati sull’autorevole rivista Nature Physics. Comunemente, le particelle con cariche negative si respingono (mentre si attraggono quelle dotate di cariche positive e negative). I ricercatori hanno invece scoperto che i fotoni possono essere utilizzati come una sorta di “super colla” capace di compensare la repulsione elettrostatica e tenere insieme le particelle con cariche negative.

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Una “super-colla” di fotoni per le particelle con cariche negative

I ricercatori hanno individuato una nuova forma di materia chiamata Photon Bound Exciton. “Questo esperimento – ha spiegato il coordinatore Giorgio Biasol in un’intervista – ha confermato ciò che ci si aspettava alla luce dell’effetto fotoelettrico, la cui scoperta è valsa a Einstein il premio Nobel nel 1921, e sostanzialmente dimostra la possibilità di progettare nuovi atomi artificiali, ampliando notevolmente l’elenco dei materiali disponibili per applicazioni scientifiche e tecnologiche, e in particolare dispositivi fotonici. Si è così verificata la possibilità di utilizzare la luce come una sorta di cerniera subatomica, capace di legare insieme gli elettroni per creare nuovi oggetti simili ad atomi”. Ma come è avvenuta la scoperta? “Prima abbiamo sintetizzato questo dispositivo nanometrico” chiarisce Biasol. “Poi lo abbiamo racchiuso tra due specchi d’oro, che hanno intrappolato i fotoni e focalizzato l’energia luminosa vicino agli elettroni, aumentando notevolmente l’interazione tra luce e materia. È stato dunque osservato che un elettrone rimane intrappolato nel pozzo, legato agli altri elettroni a carica negativa in una nuova configurazione elettronica stabilizzata dal fotone”.

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